Sì, le impronte digitali possono scomparire (2024)

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Sì, le impronte digitali possono scomparire

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    Dawn Fallik

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    È un fenomeno più diffuso di quanto pensiate e che ha conseguenze su diversi aspetti della nostra vita, dallo sblocco dei dispositivi alle pratiche per i documenti

    Sì, le impronte digitali possono scomparire (2)

    Lo sblocco di un telefono con l'impronta digitaleTatiana Maksimova/Getty Images

    Mara Johnson-Groh, una divulgatrice scientifica freelance di 33 anni che vive nella Columbia Britannica, in Canada, ha perso le impronte digitali circa dieci anni fa, quando ha iniziato a fare arrampicata su roccia. La forte pressione sulle dita necessaria per praticare lo sport le ha consumato soprattutto i polpastrelli del dito medio e dell’anulare.

    La donna racconta che molti suoi compagni di scalata fanno fatica a sbloccare i loro telefoni e computer usando le impronte digitali. Per accedere ai suoi dispositivi, Johnson-Groh usa il pollice, che solitamente resta abbastanza intatto. Ma si è resa conto di avere un grosso problema quando ha fatto domanda per la cittadinanza: la prima fase dell’iter infatti prevedeva proprio la raccolta delle impronte digitali.

    Sono andata alla stazione di polizia locale, mi hanno preso le impronte digitali e mi hanno detto che l'impronta rilevata non era abbastanza definita”, racconta. Gli agenti a quel punto le hanno consigliato di tornare dopo un paio di settimane. “Non sapevano cosa avrebbero fatto se il sistema di rilevamento non avesse funzionato neanche la seconda volta”, spiega.

    Perché perdiamo le impronte digitali

    Le tecnologie per il riconoscimento delle impronte digitali vengono sempre più utilizzate per i controlli di sicurezza negli aeroporti e per aprire le portiere delle automobili senza chiavi. Purtroppo, però, la conformazione unica di creste e solchi che caratterizza i nostri polpastrelli può sbiadire o usurarsi temporaneamente. E oggi un numero sempre maggiore di persone sta scoprendo quanto sia facile – e allo stesso tempo preoccupante – perdere le proprie impronte digitali.

    La scomparsa delle impronte digitali è un fenomeno naturale legato all’invecchiamento: la pelle delle mani si assottiglia, mentre i dossi e le linee sui polpastrelli si appiattiscono, spiega il dermatologo Roger N. Haber, assistente alla cattedra di dermatologia al College of Medicine dell'Università dell'Illinois, che si occupa proprio di questo tema. Ma per le persone di tutte le età, la vita moderna è caratterizzata anche da una quantità crescente di quelli che Haber chiama "microtraumi", ovvero danni causati dall'usura ripetuta dei polpastrelli, che potrebbe aumentare il rischio di perdere le impronte digitali. Una tendenza che però non è mai stata oggetto di studi.

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    I microtraumi potrebbero essere determinati dalla pressione ripetuta sulla stessa area di un dito dovuta all’uso del telefono. Tuttavia, secondo Haber, la vera causa è la dermatite da contatto irritativa provocata dalle sostanze chimiche presenti nelle plastiche e nelle altre sostanze con cui interagiamo frequentemente. Non a caso le persone che lavorano nel settore sanitario, che si lavano spesso le mani e usano saponi speciali, hanno spesso problemi con il riconoscimento delle impronte digitali.

    In genere le impronte digitali si riformano nel giro di pochi mesi, ma se la loro scomparsa non viene approfondita, il rischio è quello di ritrovarsi con un problema a lungo termine, afferma Haber. "Si tratta di una condizione sottodiagnosticata", aggiunge.

    Sempre più persone raccontano di aver avuto difficoltà a sbloccare il telefono o a superare un controllo di sicurezza. Tuttavia non è chiaro se la tendenza sia dovuta ad alcuni cambiamenti fisiologici nelle mani o a qualche altra ragione rimasta sconosciuta fino al momento in cui le impronte digitali hanno iniziato a sostituire chiavi e password.

    "È una bella domanda. Ma non conosco la risposta", afferma lo scienziato forense Glenn Langenburg, che però invita anche a considerare anche un terzo fattore: a volte i problemi di riconoscimento dipendono dal dispositivo di lettura delle impronte e non dai polpastrelli.

    Le impronte digitali sono utilizzate come sistema di riconoscimento da secoli, sottolinea Simon A. Cole, professore all'UC Irvine che ha dedicato al tema il suo libro Suspect Identities del 2002. Gli inglesi iniziarono a usare le impronte digitali sui contratti in India nel XIX secolo e la polizia di Scotland Yard a Londra le rilevava per identificare i criminali già nel 1901. Nel 1902, una commissione di New York si basava sull’analisi delle impronte per identificare i candidati idonei a lavorare nel settore pubblico.

    Cole spiega che all'inizio del XX secolo la convinzione era che il riscorso alla biometria, e in particolare del riconoscimento delle impronte digitali, avrebbe aiutato a plasmare una società migliore, con meno frodi finanziarie e maggiore fiducia reciproca. Si pensava che il governo americano avrebbe tenuto un archivio con le impronte digitali di tutti i cittadini. "Negli anni Trenta e Quaranta, gli scout raccoglievano le impronte digitali delle persone per strada come una forma di dovere civico", racconta il professore.

    Un fenomeno in crescita

    Coltyn Stone-Lamontagne, 23 anni, studia informatica a Manitoba, in Canada. Negli ultimi sei anni si è pagato le tasse universitarie passando le estati a piantare alberi – circa tremila al giorno – per sostituire quelli distrutti dagli incendi boschivi o abbattuti per il legname. “Fai qualche passo, ti abbassi per infilare la pala nel terreno, la tiri su, pianti l'albero e riempi il buco di terra molto rapidamente – spiega –. Devi lavorare più velocemente possibile, perché più alberi pianti più guadagni".

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    Stone-Lamontagne indossa i guanti, ma la sporcizia e la terra riescono comunque a penetrare. Praticando lo stesso movimento con la vanga migliaia di volte e afferrando migliaia di alberi, sente la sabbia che gli graffia le dita. L’anno scorso ha notato per la prima volta che le sue mani si erano usurate: non riusciva più a sbloccare il telefono con l’impronta digitale.

    Non mi ero reso conto di ciò che stava accadendo. Ho continuato a ignorare il problema. Pensavo di non riuscire a sbloccare il telefono per colpa di un taglio, o qualcosa del genere. Allora ho provato con l'altro pollice, ma non ha funzionato nemmeno quello”, racconta. A quel punto, lo studente ha utilizzato la sua password per entrare nelle impostazioni e provare a reinserire l'impronta del pollice: “Non la leggeva, non la vedeva proprio. Ho dovuto usare il bordo del dito", dice.

    Dal momento che la forma delle nostre impronte digitali è “incorporata” nelle cellule della pelle, questi problemi di usura sono solitamente temporanei. L'organismo, in altre parole, rigenera continuamente le cellule della pelle attraverso la mitosi, dividendo le cellule per crearne di nuove e aggiungendo nel corso del tempo un nuovo strato di cellule cutanee. Questo processo sostituisce naturalmente lo strato esterno della pelle ogni 30 giorni circa.

    Stone-Lamontagne racconta che, una volta terminata la stagione di semina, ci vogliono un paio di mesi prima che le sue impronte digitali ricompaiano. Quest'anno, per comodità, ha disattivato dai suoi dispositivi l’impostazione del riconoscimento digitale e ha ricominciato a utilizzare le password.

    Nel 2014, Terri Krejci, una sessantenne di Huntsville, in Alabama, lavorava come responsabile del turno notturno in farmacia, quando scoprì di avere un cancro al seno. Dopo sei mesi di chemioterapia e un intervento chirurgico, il team medico che la seguiva l'avvertì del rischio di nausee e caduta dei capelli. La donna però non aveva idea che avrebbe potuto perdere le impronte digitali.

    Già dopo il secondo ciclo di chemio il mio telefono Samsung con touch id continuava a dire: impronta digitale non rilevata – racconta Krejci, che oggi è in pensione –; poi una delle infermiere mi ha detto: ‘Oh sì, abbiamo dimenticato di avvertirti’. Mi dissero che sarebbe potuto passare un bel po' di tempo prima di rivedere le mie impronte digitali".

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    Krejci aveva un grattacapo in più: doveva sottoporsi al rilevamento delle impronte digitali per entrare nel reparto oncologico. Ogni volta serviva l’intervento del personale di sicurezza, finché non le è stato fornito il codice di accesso. A dieci anni di distanza, le sue mani sono tornate più o meno come prima, ma deve ancora ricalibrare regolarmente il sistema di scansione delle impronte sul suo telefono.

    Secondo Langenburg la scomparsa delle impronte digitali rappresenterà un problema sempre più spinoso in futuro. Lo scienziato forense prevede che per aggirare questo ostacolo verranno utilizzati altri sistemi di riconoscimento biometrico come per esempio la scansione della retina o l'identificazione del volto insieme alle impronte digitali.

    Persone come i lavoratori edili o gli scalatori possono ricorrere ad alcuni metodi per rendere le dita più facili da scansionare, come idratare bene le mani e utilizzare un gel igienizzante o una lozione subito prima della procedura. In Minnesota e Wisconsin, gli operatori incaricati di rilevare le impronte digitali ricorrono a uno speciale balsamo, usato anche per mungere le mucche, che rende le dita un po' appiccicose, favorendo la registrazione delle impronte.

    Naturalmente c'è anche chi desidera occultare le proprie impronte digitali, in particolare le persone che hanno commesso un reato: "Molti pagano grandi somme di denaro per cercare di alterare le proprie impronte digitali attraverso l’uso di acido, interventi chirurgici o altro", afferma Thomas Busey, professore di scienze psicologiche e cerebrali all'Università dell'Indiana.

    Ma Langenburg sostiene che queste strategie possono ritorcersi contro chi le adotta. Cita il caso del gangster americano John Dillinger, che si tagliò le dita e poi ci versò sopra dell'acido, sfregiando la parte centrale dei polpastrelli, ma lasciando le punte, le articolazioni e i lati identificabili. “Non appena osserviamo i segni riconducibili a queste pratiche, capiamo immediatamente che una persona sta cercando di nascondere la propria identità. È un'assurdità che va avanti da centro anni e non funziona”, afferma Langenburg.

    Secondo Busey, è curioso che ci si sia focalizzati principalmente sul riconoscimento delle impronte digitali per l'identificazione biometrica. La raccolta delle impronte digitali di una persona accusata di un crimine comprende di solito tutte le dita e anche i palmi delle mani. Questa pratica consente di registrare una grande quantità di dettagli anatomici. Telefoni, computer e scanner aeroportuali si basano invece sul riconoscimento di un singolo polpastrello. Si tratta di un sistema di identificazione molto limitato, oltre che rischioso in termini di sicurezza e di privacy.

    Probabilmente non avete l'abitudine di condividere la password del vostro computer con altre persone – osserva Busey –, eppure quando la vostra impronta digitale è la vostra password, la lasciate letteralmente su ogni oggetto che toccate”.

    Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

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    Author: Cheryll Lueilwitz

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